Astronomica Langrenus
Le catene di crateri sulla Luna - Lunar craters chains
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La finalità di questo articolo è di portare un modesto contributo per chiarire l’origine delle catene lunari, argomento estremamente interessante quanto controverso su cui da sempre si confrontano varie teorie, tentativo indubbiamente di non semplice soluzione. Si tratta di strutture associate presumibilmente ai processi di raffreddamento e successivo consolidamento delle distese di materiale lavico non solo delle pianure lunari ma, anche se in misura minore, di zone localizzate sugli altipiani. Per “catena” si intende un allineamento costituito da una sequenza di crateri o depressioni in rapida successione. Per cercare di comprenderne l’importanza, dobbiamo considerare che la presenza di tali strutture è stata accertata e documentata strumentalmente non solo sul nostro satellite ma anche sul pianeta Marte, sulla luna nettuniana Tritone e sui satelliti di Giove Ganimede e Callisto. Tornando alla nostra Luna, si ritiene utile partire dall’epoca in cui il raffreddamento delle lave contribuì alla formazione di varie strutture superficiali che ancora oggi possiamo osservare più o meno dettagliatamente anche con strumenti amatoriali. Infatti si va dai semplici corrugamenti fino a vere e proprie fratture della crosta, costituite da solchi intesi sia come segmenti singoli sia come parte integrante di sistemi più complessi tra cui vi sono antichi canali di lava (individuabili dal tipico andamento sinuoso) e reticoli di rimae, quale risultante non solo delle tensioni superficiali dovute al raffreddamento ma anche dell’attività tettonica del sottosuolo. Infine il tensionamento dovuto alla riduzione di volume della massa lavica in fase di raffreddamento può avere determinato la formazione di una faglia, posta a delimitare due zone situate a differenti quote altimetriche, oppure un graben costituito da una sorta di trincea.
Alcuni solchi hanno la peculiarità di essere costituiti da veri e propri allineamenti di crateri, fra cui va citato il tipico esempio della rima Hyginus costituita da una innumerevole sequenza di piccoli craterini, quale probabile residuo fossile di un antico tubo di lava ormai collassato. La morfologia della valle Rheita, al contrario, ne rivela una presumibile origine da impatto. Ci siamo così finalmente avvicinati alle cosiddette catene lunari, oggetto della nostra ricerca.
Queste particolari strutture, distribuite in entrambi gli emisferi del nostro satellite, sono costituite da allineamenti di più crateri, prevalentemente di piccolo diametro, raggiungendo una lunghezza variabile da poche decine fino ad alcune centinaia di chilometri sia nelle pianure che sugli altipiani, esibendo sovente una morfologia piuttosto degradata a causa dell’erosione dovuta alla successiva caduta al suolo di frammenti di meteoriti.
All’origine delle catene lunari vi sono molto probabilmente alcuni fra i principali capitoli che hanno scritto la storia geologica del nostro satellite: ciò che osserviamo con i nostri strumenti potrebbe essere quanto rimasto di un tubo di lava. Infatti, all’epoca in cui iniziò il processo di raffreddamento degli strati magmatici di vaste regioni lunari, anche il materiale lavico che scorreva nelle fenditure del suolo iniziò una graduale e progressiva solidificazione fino a determinare la formazione di veri e propri condotti lavici i quali si ritrovarono ricoperti da una parete solida sovrastante. Lo spessore non eccessivo di queste strutture non risultò particolarmente resistente alle sollecitazioni introdotte dai successivi impatti di meteoriti di piccole dimensioni verificatisi ripetutamente in particolari epoche geologiche, unitamente alla continua caduta di micrometeoriti. Inoltre non sono da sottovalutare gli effetti introdotti dall’attività sismica presente nel sottosuolo. In queste condizioni fu inevitabile il progressivo crollo anche solo parziale degli strati di materiale lavico solidificato, con la conseguente formazione di piccoli coni craterici allineati in rapida successione.
Oltre alla tipologia appena esaminata, all’origine delle catene di crateri presenti sulla Luna non è da escludere l’impatto di corpi meteoritici. Data la particolare morfologia di queste strutture, piuttosto che di oggetti singoli sarebbe da considerare il verificarsi dei cosiddetti “impatti multipli”, cioè costituiti da sciami di frammenti di meteoriti, anche se la conformazione tipica di una catena di crateri appare decisamente in contrasto con la dinamica di un impatto multiplo.
A questo punto è importante esaminare alcune di queste strutture iniziando dalla catena di Abulfeda, situata sul vastissimo altipiano sudorientale. Dalla parete meridionale di Abulfeda (66 km – 3100 mt) questa si estende per una lunghezza di 216 chilometri in direzione del cratere Almanon (51 km – 2500 mt) andando a terminare in prossimità dell’estremità nord della Rupes Altai. Formatasi da 3,2 a 3,8 miliardi di anni fa nel periodo geologico Imbriano, la catena di Abulfeda è orientata da NW a SE ed è costituita da una successione di strutture crateriformi con diametri fino a 7-8 km, con l’unica eccezione di Almanon-C di 16 chilometri. Se osservata attentamente, questa catena rivela un notevole degrado e costituita da serie di due o più crateri intercomunicanti, dettaglio che testimonia l’avvenuta sovrapposizione di impatti meteoritci. In questo caso mi sento di escludere che si tratti di un condotto lavico collassato, mentre secondo alcune fonti si tratterebbe di smottamenti delle pareti verificatisi in più punti lungo il tracciato di un’antica faglia successivamente colmata da micrometeoriti e materiali vari. Questa catena, in unico segmento, è osservabile sei giorni dopo la luna nuova con rifrattore di almeno 100 mm.
Spostandoci nell’oceanus Procellarum in una regione prossima al terminatore occidentale è da citare la catena Krafft estesa dal cratere Krafft (53 km-1250 mt) al cratere Cardanus (51 km-2300 mt) per una lunghezza di 61 km ed orientata in senso N – S. Non è nota l’era geologica della sua formazione, ma i due crateri ad essa collegati provengono da 3,8 a 3,2 miliardi di anni fa nel periodo Imbriano Superiore Tipico. L’osservazione di questa catena dalla Terra viene notevolmente condizionata dallo schiacciamento prospettico introdotto dalla sua ubicazione in prossimità del margine ovest lunare limitandone sensibilmente la percezione dei dettagli, mentre da immagini ottenute dalle sonde (ad es. Lunar Orbiter) questa struttura appare in tutta la sua completezza. Ufficialmente la catena in esame inizia dall’orlo sommitale della parete sud di Krafft, (ma pare dalla platea, esattamente da Krafft-C (13 km), da cui si estende verso S-SE fino a raggiungere l’anello montuoso NE di Cardanus. Dal punto di vista geologico la zona si presenta estremamente interessante. Più che di una catena di crateri, la morfologia prevalente pare molto simile a quella di una trincea o graben, con numerosi piccoli craterini disseminati in corrispondenza dei suoi bordi lungo il tracciato. La larghezza della struttura è maggiore in prossimità di Cardanus. La peculiarità di questa catena è che sembra costituita da altri due segmenti minori (probabilmente tubi lavici collassati), situati poco ad ovest del segmento principale, i quali dalla parete meridionale di Krafft sono anch’essi orientati in direzione sud andando a terminare all’altezza di Krafft-D (12 km). Da notare che gran parte della piana tra Krafft e Cardanus è cosparsa di numerosi allineamenti di piccoli craterini, probabile conseguenza della ricaduta al suolo dei materiali proiettati verso l’alto dall’impatto originario.
Molti astrofili avranno certamente osservato le meravigliose catene di crateri esistenti nell’area fra Copernicus e Stadius. Mentre sono innumerevoli gli allineamenti di piccoli crateri che si diramano radialmente dall’anello montuoso di Copernicus in tutte le direzioni, quale conseguenza della ricaduta al suolo dei materiali proiettati verso l’alto in seguito all’evento da cui nacque Copernicus, focalizziamo ora l’attenzione su una catena di crateri che da nordest di Stadius si sviluppa in direzione nord per oltre 200 km spingendosi anche nel mare Imbrium, risultando evidente che questa struttura non ha nulla a che vedere con lo sviluppo radiale della raggiera di Copernicus. Da sud verso nord tale catena comprende vari coni craterici tra cui i principali sono Stadius-G-Q-P-R-E-S-F-T-J-U-W-M, con diametri da 4 a 7 km, risalenti ai periodi geologici fra Eratosteniano e Copernicano, da 1 a 3 miliardi di anni fa.
Stabilire da quale evento venne originato questo allineamento di crateri non è così semplice, in quanto esso può essere suddiviso in due differenti aspetti. Il segmento sud, da Stadius al margine meridionale di Imbrium, è essenzialmente costituito da coni craterici in taluni casi comunicanti fra loro, a testimoniare un possibile cedimento di un condotto lavico sottostante a cui si sarebbe sovrapposta la ricaduta dei materiali espulsi da Copernicus. La morfologia del segmento nord, esteso nella piana di Imbrium, ci ricorda le fratturazioni della crosta in seguito ad eventi di notevole portata, con l’interessante dettaglio che le fenditure del suolo in questo caso diminuiscono d’intensità allontanandoci dall’epicentro dell’impatto. Ulteriore conferma che si formarono in seguito al cataclisma da cui nacque Copernicus.
Una struttura originata esclusivamente dal probabile cedimento del sottostante condotto lavico è la catena di Davy, situata in prossimità del margine orientale del mare Nubium, nell’area del cratere Davy-Y (70 km), estesa da Davy-C (3,4 km) a Davy-D (16 km) per una lunghezza di 51 km in direzione E-W, originatasi da 3,8 a 3,2 miliardi di anni fa nel periodo geologico Imbriano e costituita da circa 12 piccoli crateri (o meglio, coni craterici di sprofondamento) con diametro da 1 a 3 km. Se osserviamo immagini dettagliate di questa catena, si può percepire il parziale sprofondamento del canale lavico sottostante. Per l’osservazione è richiesto un rifrattore di almeno 100 mm con fase di 1 giorno dopo il primo quarto oppure in ultimo quarto.
Penso che una citazione meriti anche la difficile catena Timocharis, situata nel mare Imbrium a circa 200 km ad ovest di Archimedes. Questa si sviluppa a nord del cratere Timocharis (36 km – 3100 mt) per una lunghezza di 51 km in direzione della Dorsa Grabau, una dorsale estesa per circa 125 km orientata in senso E – W. Formatasi non oltre 1 miliardo di anni fa nel periodo geologico Copernicano, la catena Timocharis è costituita da crateri molto piccoli dalla forma ovalizzata e non eccessivamente degradati. Anche in questo caso potremmo trovarci di fronte alla testimonianza del parziale cedimento di un condotto lavico sottostante. Questa struttura, per la cui osservazione è richiesto un riflettore di almeno 500 mm di diametro, si rende visibile ai pochi fortunati un giorno dopo il primo quarto o in fase di ultimo quarto.
Abbiamo visto che la tipologia di questi particolari allineamenti di crateri può essere posta in relazione a differenti fasi della storia geologica della Luna. Ponendoci il quesito se all’origine delle catene lunari vi sia il processo di raffreddamento delle distese laviche con conseguente cedimento dei sottostanti canali di lava, oppure il verificarsi di impatti cosiddetti “multipli” costituiti da sciami di frammenti, ritengo che non dovremmo dimenticare una terza possibilità da non escludere a priori: che le catene lunari siano anche state i mezzi attraverso i quali si sarebbe concretizzata l’attività vulcanica, non solo con semplici condotti lavici di scorrimento per il magma, ma con una vera e propria attività eruttiva proveniente dal sottosuolo e manifestatasi in superficie attraverso i coni craterici.