Astronomica Langrenus
Le ALPI lunari - The ALPES mountains
Anche sulla Luna abbiamo la possibilità di non dimenticare catene montuose a noi tanto familiari, si tratta degli Appennini e delle Alpi. In questo numero parleremo proprio delle Alpi lunari le quali hanno in comune con le omonime montagne terrestri il nome stesso e la vetta più alta che non a caso si chiama “monte Bianco”.
La catena montuosa che in questo caso più attrae l’attenzione degli Astrofili appassionati di osservazioni lunari si trova nel settore centro settentrionale del nostro satellite, posta a delimitare il margine nord del mare Imbrium dal lato meridionale del mare Frigoris. L’origine delle Alpi lunari è da ricondurre ai grandi eventi catastrofici che nell’era Imbriana da 3,5 a 3,9 miliardi di anni fa sconvolsero la superficie del nostro satellite con la formazione del gigantesco bacino di Imbrium. L’onda d’urto che ne scaturì, conseguente all’impatto di un planetoide, provocò la formazione di un enorme anello montuoso tutt’intorno, di cui oggi ne osserviamo solo quanto rimasto dopo la fuoriuscita di materiali lavici dal sottosuolo e modificato da successivi impatti meteoritici. Tornando al caso specifico delle Alpi lunari, all’osservazione telescopica esse evidenziano una conformazione nettamente differente rispetto alle non lontane catene degli Appennini e del Caucasus. Infatti, mentre queste ultime esibiscono lunghe ed imponenti sequenze di vette e valli profonde, i rilievi alpini sembrano costituiti da un insieme di picchi alternati a rilievi collinari distribuiti in un’area che immediatamente ad ovest dei monti Caucasus e del cratere Cassini si estende verso occidente fino al cratere Plato, raggiungendo l’altezza di circa 4000 metri col monte Bianco. Ma ciò che maggiormente cattura l’attenzione degli appassionati di osservazioni lunari è una lunga e profonda fenditura che, con una lunghezza di circa 170 chilometri ed una larghezza media di 10 chilometri, taglia letteralmente in due le Alpi da sudovest a nordest: si tratta della Valle Alpina alla cui origine vi sarebbero state enormi tensioni nel sottosuolo, non essendo ormai più praticabile la teoria secondo cui questa struttura deriverebbe dall’impatto radente di un corpo meteoritico.
Ma non basta limitarsi alla Valle Alpina, è sul suo fondo che bisogna andare alla ricerca di un sottile solco il quale si sviluppa con andamento meandriforme. Si tratta di un antichissimo canale di lava ormai collassato la cui larghezza media di soli 0,27” d’arco ne rende difficoltosa l’osservazione visuale ed ancora più precaria l’acquisizione di video ed immagini anche in favorevoli condizioni. Pertanto la Valle Alpina ed il suo sottile solco daranno il meglio di sé se osserveremo in fase lunare fra il settimo e l’ottavo giorno in condizioni di luce solare radente, l’unica modalità operativa possibile al fine di catturarne i più fini dettagli, trattandosi indubbiamente di un test molto severo anche in ottime condizioni osservative, con l’accortezza di non limitare l’osservazione al tipico “mordi e fuggi”, ma di osservare lo stesso dettaglio con la necessaria tranquillità sfruttando il lento ma progressivo variare dell’angolo di incidenza della radiazione solare per riuscire a cogliere eventuali variazioni nella percezione di certi particolari superficiali. Mentre fino a non molti anni fa era necessario uno strumento di almeno 30 centimetri di diametro, con le attuali strumentazioni CCD gli appassionati hanno potuto ottenere risultati insperati. Se pensiamo che personaggi del calibro di Jean Dragesco e Georges Viscardy hanno tribolato non poco per catturare anche solo parzialmente i dettagli che oggi sono alla portata di strumenti amatoriali di media potenza, ci si rende contro di come la moderna tecnologia abbia fornito un notevole contribuito allo sviluppo delle metodologie osservative utilizzate da molti Astrofili.
Oltre alla Valle Alpina ed alle sue “meraviglie” si consiglia di puntare il telescopio anche verso l’intera area occupata da questa vasta regione montuosa, tra cui le numerose vallate secondarie che dai monti circostanti vanno a confluire in quello che potrebbe essere considerato una sorta di gigantesco canyon. Inoltre vi si possono osservare anche vari piccoli crateri fra cui Trouvelot, diametro di 9 chilometri e pareti alte 1150 metri, in prossimità del lato nord della Valle Alpina. A sudest di Trouvlot è interessante Egede (37 chilometri), un tipico esempio di cratere quasi completamente sepolto le cui pareti emergono per circa 400 metri dallo strato di regolite che ricopre la superficie lunare. Lungo il margine meridionale delle Alpi non si può fare a meno di osservare i promontori di Cape Agassiz e Cape Deville, i quali si innalzano sul mare Imbrium rispettivamente per 2250 e 2160 metri.
Le Alpi lunari sono inserite in un contesto in cui è notevole la presenza di interessantissime strutture da osservare. Infatti immediatamente ad oriente vi è la catena dei monti Caucasus con vette alte circa 4000 metri, mentre all’estremità occidentale abbiamo il conosciutissimo Plato. A sud le Alpi si elevano sul margine settentrionale della piana di Imbrium in cui possiamo orientare il nostro telescopio sul cratere Cassini e sulla vicina Palus Nebularum, giungendo fino alla bellissima triade dei crateri Archimedes, Aristillus, Autolycus. In questo settore sono di grande interesse Piton e Pico, rilievi montuosi che si innalzano isolati sulla pianura per circa 2400 metri, dalla cui sommità si può solo immaginare quale possa essere la vista panoramica sulla regione circostante (Nonostante sia notevole la curvatura dell’orizzonte lunare). A nord delle Alpi si distende la piana del Mare Frigoris, unica pianura lunare distesa lungo i paralleli da dove, guardando verso oriente, non si può fare a meno di osservare i grandi crateri Aristoteles, Eudoxus ed Alexander. Ancora più a nord ci si inoltra verso le regioni più settentrionali del nostro satellite.